Una volta ero un romantico.
Avrei potuto iniziare anche con un “C’era una volta un romantico…”, a modo suo sarebbe stata anch’essa una citazione, ma non esagero, non oggi almeno.
Dicevo, una volta ero romantico. O un romantico. Bah! Ho avuto un lungo periodo della mia vita che ricercavo le cenette, le occasioni per regalare dei fiori, i tramonti, le passeggiate sul lungomare al chiaro di luna, le candele e i petali di rosa per il sesso, e via dicendo.
Il messaggio del Romanticismo si è, nella coscienza collettiva, talmente affievolito o degradato da sopravvivere soltanto, ormai, come un equivoco lessicale? Oppure, al contrario, la dilagante fortuna di quest’uso confusamente metaforico dell’aggettivo è la prova d’una sotterranea ma tenace vitalità del sostantivo? (Giovanni Raboni)
Non saprei dire, e non mi importa al momento definire meglio la questione, se è una forma di autismo quella che mi porta a rifiutare inconsciamente questo “movimento” interiore che mi portava a certi apprezzabilissimi gesti, oppure è solo l’esperienza, se così vogliamo chiamarla, che non me ne fa più sentire il bisogno. Ma tant’è… Ho perso molti interessi negli ultimi anni. Uno fra molti, l’interesse per la gente.
Ecco, forse l’unica cosa che mi manca di Torino è la gente. Ma ora che intorno non ho praticamente più nessuno, nel quotidiano non sento la differenza. E la voglia di innamorarmi, quella proprio andata a zero. Sottozero.
E mi passa anche solo la voglia di cercarmi una trombata.