“Non c’è altro da fare, senza bestemmiare, zitto e non fiatare, tanto l’anima non conta.” (The Zen Circus)

Grazie alla Protezione Civile

Oggi, insieme a tutti gli altri, ne è morto uno che ha rifiutato le cure, ha rifiutato di essere intubato.
Questa pandemia sta tirando fuori lati di tutti noi che potrebbero dare da fare agli antropologi per tanto, tantissimo tempo.
E quando credi di averle sentite tutte, riescono ancora a stupirti… Come cazzo fanno…
Per me, manca pochissimo per firmare il rogito per la casa, tutto procede ineluttabilmente, panta rei…
Ma credetemi, cari i miei due lettori, ne ho le palle piene. Ma talmente piene che mi chiedo come mi stia scampando una orchite da coglioni alle ginocchia.
Nel mio piccolo, tutto ok, tutto al meglio, ma poi? Poi ti guardi intorno, e non si riesce a uscire da una astrocazzo di Gundam di pandemia…
Con la scusa degli impegni, non si ferma la pandemia, non ci si cura delle persone, non si pensa alla salute… Non voglio dare solo la colpa all’ignoranza becera di alcuni, rimango dell’idea che la colpa, colpo di scena, sia di tutti.
Perché? Perché.

E i nostri impegni, e le nostre cose, e il cazzinculo che ce ne frega… Dai, obiettivamente, si è persa la coscienza del tutto. Delle persone, dell’essere umano, della sopravvivenza.
Se stessi a ogni costo. E si inculi il nostro vicino, chi se ne frega di lui.

“Il virus non deve essere associato a un Paese o a una nazionalità. In una comunità globale, ciascuno di noi deve essere il custode dell’altro. Non permettiamo alla paura di derubarci della nostra umanità.” (Abiy Ahmed Ali)

Facile essere umani nel proprio piccolo mondo.
Altrettanto facile non esserlo su questa cazzo di pietra che gira nello spazio.
E per tornare un attimo ventenne, datemi un bicchiere di Lambrusco, che devo domandarvi a che ora è la fine del mondo. (Parafrasando Luciano Ligabue, dai, non era difficile!)

Tu sei chi scegli e cerchi di essere. (Dean ne “Il gigante di ferro”)

Mare di Chioggia

Una volta ero un romantico.
Avrei potuto iniziare anche con un “C’era una volta un romantico…”, a modo suo sarebbe stata anch’essa una citazione, ma non esagero, non oggi almeno.
Dicevo, una volta ero romantico. O un romantico. Bah! Ho avuto un lungo periodo della mia vita che ricercavo le cenette, le occasioni per regalare dei fiori, i tramonti, le passeggiate sul lungomare al chiaro di luna, le candele e i petali di rosa per il sesso, e via dicendo.

Il messaggio del Romanticismo si è, nella coscienza collettiva, talmente affievolito o degradato da sopravvivere soltanto, ormai, come un equivoco lessicale? Oppure, al contrario, la dilagante fortuna di quest’uso confusamente metaforico dell’aggettivo è la prova d’una sotterranea ma tenace vitalità del sostantivo? (Giovanni Raboni)

Non saprei dire, e non mi importa al momento definire meglio la questione, se è una forma di autismo quella che mi porta a rifiutare inconsciamente questo “movimento” interiore che mi portava a certi apprezzabilissimi gesti, oppure è solo l’esperienza, se così vogliamo chiamarla, che non me ne fa più sentire il bisogno. Ma tant’è… Ho perso molti interessi negli ultimi anni. Uno fra molti, l’interesse per la gente.
Ecco, forse l’unica cosa che mi manca di Torino è la gente. Ma ora che intorno non ho praticamente più nessuno, nel quotidiano non sento la differenza. E la voglia di innamorarmi, quella proprio andata a zero. Sottozero.

E mi passa anche solo la voglia di cercarmi una trombata.

“L’eyeliner per andare in guerra” (Vasco Brondi in “Quando tornerai dall’estero”)

Sono sparito? Forse sì, ma come tutte le altre volte, ritorno. Finchè posso permettermelo, torno.
Non sia mai che in qualche modo, con qualche maneggio, non cerchi di invadere i vostri pensieri con altri pensieri scaturiti dalle mie (dis)avventure.

Non c’è mica bisogno di scappare di casa. Basta rimanere in casa quando gli altri escono. (“Prima della rivoluzione”, film di Bernardo Bertolucci)

Così, mi son comprato casa. Così, in continuo movimento, senza cambiare posto. Sempre con qualche tocco in più e sempre con qualche tocco in meno. Sia maledetta la pandemia. Sia benedetta la pandemia. Ha tirato fuori il meglio e il peggio di noi.
E a me non è cambiato un cazzo. Se non che forse, per una volta, parto col presupposto che in quella casa, sarò un poco come Janis Joplin. Ma non troppo.
Solo coi miei gatti.
Col tempo mi sono reso conto che tutto quel che cercavo per “completarmi” ha un prezzo troppo alto, e allora “è ora di basta” (anche questa è una citazione, ma la capiremo forse in due, io e il mio amico invisibile).
Le uniche due persone per cui provo un interesse sono o felicemente accompagnate o felicemente accompagnate con un anello al dito. E non sono di certo il tipo che spacca le famiglie altrui.

Ciao a voi due, voi non sapete di esserlo, ma non vi acrei mai voluto così lontano. Ma almeno così ho vissuto una vita intensa con voi, fatta di bei momenti, ovviamente non tutti, ma che mi hanno insegnato. Perché finché possiamo sognare, siamo liberi di vivere quello che la vita non ci permette di vivere. O semplicemente, non si hanno avuto le palle per farlo,

Che cos’è che di un misero fa un re? Il coraggio! Quale portento fa una bandiera sventolare al vento? Il coraggio! Chi rende ardita l’umile mosca nella foschia fosca nella notte losca… e fa sì che un moscerino la paura mai conosca? Il coraggio! Perché l’esploratore non teme l’avventura? Perché ha coraggio! (“Il mago di Oz” diretto da Victgor Fleming)