“Non c’è altro da fare, senza bestemmiare, zitto e non fiatare, tanto l’anima non conta.” (The Zen Circus)

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Oggi, insieme a tutti gli altri, ne è morto uno che ha rifiutato le cure, ha rifiutato di essere intubato.
Questa pandemia sta tirando fuori lati di tutti noi che potrebbero dare da fare agli antropologi per tanto, tantissimo tempo.
E quando credi di averle sentite tutte, riescono ancora a stupirti… Come cazzo fanno…
Per me, manca pochissimo per firmare il rogito per la casa, tutto procede ineluttabilmente, panta rei…
Ma credetemi, cari i miei due lettori, ne ho le palle piene. Ma talmente piene che mi chiedo come mi stia scampando una orchite da coglioni alle ginocchia.
Nel mio piccolo, tutto ok, tutto al meglio, ma poi? Poi ti guardi intorno, e non si riesce a uscire da una astrocazzo di Gundam di pandemia…
Con la scusa degli impegni, non si ferma la pandemia, non ci si cura delle persone, non si pensa alla salute… Non voglio dare solo la colpa all’ignoranza becera di alcuni, rimango dell’idea che la colpa, colpo di scena, sia di tutti.
Perché? Perché.

E i nostri impegni, e le nostre cose, e il cazzinculo che ce ne frega… Dai, obiettivamente, si è persa la coscienza del tutto. Delle persone, dell’essere umano, della sopravvivenza.
Se stessi a ogni costo. E si inculi il nostro vicino, chi se ne frega di lui.

“Il virus non deve essere associato a un Paese o a una nazionalità. In una comunità globale, ciascuno di noi deve essere il custode dell’altro. Non permettiamo alla paura di derubarci della nostra umanità.” (Abiy Ahmed Ali)

Facile essere umani nel proprio piccolo mondo.
Altrettanto facile non esserlo su questa cazzo di pietra che gira nello spazio.
E per tornare un attimo ventenne, datemi un bicchiere di Lambrusco, che devo domandarvi a che ora è la fine del mondo. (Parafrasando Luciano Ligabue, dai, non era difficile!)

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